Domenica 31 agosto ’14, da Irkutsk a Ulaan Baatar – Mongol Rally 2014

IK-UB

La sveglia suona puntualissima alle quattro e mezza di mattina, concedendomi meno di mezz’ora di sonno. Ripetendomi mentalmente, per darmi il coraggio per scendere dal letto, che oggi sarà l’ultima tappa del viaggio, mi alzo, mi tolgo i vestiti che indosso continuativamente da troppi giorni, mi infilo nella doccia e poi torno a dormire per un’altra mezz’ora. Alle cinque penso di essere quasi del tutto riposato e, dopo aver radunato e raccolto le mie cose, lascio la stanza. Alla reception ritiro la colazione e il pranzo al sacco che avevo chiesto di prepararmi. Nella sala ristorante (e tutto intorno all’albergo) trovo ancora gli invitati al matrimonio che mi danno una fettona di torta al cioccolato e del caffè per il viaggio. Ringrazio, rinnovo i miei auguri agli sposi e, caricata la macchina, mi dirigo verso il confine tra la Russia e la Mongolia. Esco dal parcheggio, imbocco la strada verso il centro storico dove mi immetto in uno stradone che superato il ponte sul fiume Angara si inoltra nella zona periferica e industriale della città. Faccio tappa alla prima stazione di servizio aperta dove, mentre il pandino fa il pieno, mi bevo una zuppa calda e un mezzo litro di caffè. Ora che sono leggermente più pronto a mettermi in viaggio, sebbene non sia ancora completamente sveglio, prendo la P-258 che dovrebbe portarmi sulle rive del lago Bajkal. La strada, inizialmente piana, dopo un paio di chilometri inizia ad arrampicarsi sulle colline alberate inoltrandosi in un folto bosco. I curvoni si susseguono gentilmente fino a farmi scollinare a ridosso delle cittadine di Kultuk e di Sljudjanka, a un centinaio di chilometri di distanza dalla mia partenza. La vista (di cui però non ho foto) dall’altura che domina il paesaggio dinanzi a me è da togliere il fiato. Dalla nebbia alzatasi nelle ore che precedono l’alba, si riescono a scorgere le rive occidentali del lago Bajkal su cui si affacciano delle abitazioni in legno tradizionali e subito dietro la ferrovia e poi delle dolci colline su cui vi sono pascoli intermezzati da boschi e gruppi di abitazioni ancora addormentate. Alla mia sinistra, sul versante orientale del lago, di cui non si riesce a scorgere il termine, il calore arancione dell’alba inizia a farsi notare rimbalzando sulle nuvole superiori per riflettersi nell’enorme distesa d’acqua ai miei piedi.001626780033

001626780021Rallento per godermi il panorama e mi si avvicinano dei cani randagi. Rovisto tra i sedili alla ricerca degli avanzi degli hamburger dai giorni prima e poi li getto al branco. Riprendo la mia discesa verso la leggera nebbia mattutina che avvolge il villaggio ai miei piedi. Qui costeggio la ferrovia che si dirige verso il limite meridionale del lago, poi proseguo sulle sue rive mangiando la torta nuziale che mi è stata regalata.IMG_2947Guido vicino al lago per circa tre ore quindi la strada si inoltra nel bosco e poi in una piana che mi porta, dopo altre due ore, a superare Ulan Ude.001626780020Da qui prendo una stradina verso il confine con la Mongolia che si dipana in un continuo saliscendi di colline.001626780031

001626780034001626780035Poco prima dell’ora di pranzo arrivo alla frontiera e mi metto in coda. Le guardie sono in pausa pranzo così mi siedo su una barriera jersey a leggere il libro di Sacks sotto un sole battente ma ancora abbastanza freddo, sebbene mi stia dirigendo sensibilmente verso sud e verso il deserto mongolo. Chiacchiero cordialmente con la gente che come me sta aspettando per varcare il confine e sgranocchio qualche seme di girasole offertomi. Quando viene aperto il cancello per la sezione russa della frontiera avanzo e mi fermo alla stazione del controllo dell’auto e dei documenti. Avendo sbrigato le pratiche di rito esco della zona russa guadando una profonda pozza artificiale riempita d’acqua e per poco la panda non annega.Mi dirigo verso quello la postazione frontaliera mongola che sembra un aeroporto: una sezione rotonda a due piani centrale ricoperta da una cupola è affiancata ai due lati da tettoie in cui sono controllate le auto. Parcheggio innanzi all’ingresso e mi viene detto di tornare al cancello di ingresso per pagare cinque dollari per iniziare la procedura di passaggio della frontiera. Dopo aver adempiuto entro nella sezione centrale della dogana. Per prima cosa devo compilare i miei documenti e quelli della macchina secondo le linee guida lasciate lì dagli Adventurists, poi vengo perquisito io e viene perquisita la macchina, poi il supervisore ricontrolla la macchina facendomi scaricare e aprire tutto il bagaglio, poi mi fanno compilare un altro documento in si attesta che il pandino entra in Mongolia a carico degli organizzatori del rally e loro si fanno carico della sua uscita dal paese entro un determinato periodo, poi decidono di ricontrollare il numero di telaio e la targa per verificare che combacino con quanto indicato sul libretto e sul documento, poi mi fanno riaprire la macchina e ricontrollano tutto. Nel frattempo mi chiama mia madre per chiedere come va e per chiacchierare un po’, poi mi chiama Alberto per avere notizie e quindi mi chiamano alcuni sostenitori del viaggio per avere aggiornamenti in quanto dalla partenza in Kazakistan i social network erano stati un po’ trascurati. Una volta che tutti i documenti sono stati debitamente validati e timbrati dalle autorità competenti posso lasciare la postazione dei controlli doganali mongoli. Mi dirigo quindi verso l’uscita ma scopro che per entrare in Mongolia bisogna obbligatoriamente avere un’assicurazione valida e riconosciuta. Fortunatamente c’è un baracchino che la vende proprio lì. Entro nella casupola e aspetto il mio turno. Prima di me c’è un camionista che non vuole pagare l’obolo in quanto sostiene che la sua assicurazione sia valida. Viene portato fuori di peso e barbaramente picchiato a sangue. Io allora pago subito in contanti, lascio anche una mancia e già che ci sono mi faccio cambiare i soldi russi e anche qualche dollaro nella valuta locale. Sono finalmente ammesso alla guida in Mongolia.20835833042_9f3fe29be3_o

Riprendo la mia marcia trionfale in direzione Ulan Bator. La strada asfaltata si dipana nel nulla ma ogni tanto c’è un casello e dopo il casello l’immancabile pattuglia di polizia da corrompere a cui lascio un paio di sigarette (via via che mi addentro nel cuore del paese diventano sempre più economici da corrompere).

Dopo un paio di ore di guida, di colpo la strada asfaltata scompare per lasciare posto a una pista di finissima sabbia rossa. Poi iniziano delle dune enormi che io prendo alla massima velocità possibile per non rimanere impantanata. A ogni scollinamento sbatto la testa sul soffitto della macchina, tutto va in disordine e entra una nuvola di polvere che non mi permette di vedere né di respirare. Gli unici accorgimenti che prendo sono chiudere i bocchettoni dell’aria e mettermi il buff a copertura del naso e della bocca. Copro anche i biscotti. Continuo sulle piste per tutto il pomeriggio e verso le sette di sera sono a cento chilometri dal traguardo (che chiude alle venti). Per entrare a Ulan Bator c’è un traffico terribile in quanto l’arteria principale è a due corsie per senso di marcia ed è completamente bloccata. Siccome il traguardo è chiuso quando ormai ci arrivo, mi dirigo verso l’albergo mettendoci davvero tantissimo tempo.

L’albergo è di una categoria oltre le cinque stelle e lo noto dal fatto che il facchino, quando mi vede arrivare, è professionalissimo nel non ridere vedendo la mia condizione e lo stato della macchina. Mi aiuta a scaricare mentre Alberto arriva ad accogliermi. Scattiamo qualche foto di rito davanti all’albergo e poi finalmente vado in camera dove faccio un bagno idromassaggio e mi preparo per la cena.IMG_2342IMG_2346

Alberto ha prenotato praticamente tutto il ristorante giapponese dell’hotel con un cuoco che arriva veramente dal Giappone tutto per noi. Iniziamo cena con della zuppa di miso e poi dell’ottimo sushi innaffiato con whisky giapponese. Quindi proseguiamo con due bistecche di manzo wagyu di Kobe e poi mangiamo dell’altro sushi come dessert. Proseguiamo la serata nel pub irlandese dietro all’albergo. Vado quindi a dormire a Ulan Bator, dopo oltre un mese dalla nostra partenza da Aosta.001626780030_improved