Inizio la giornata facendo colazione con gli americani del team “12 steppe program” al bar dell’albergo e decidiamo di portare le due macchine a revisionare e, eventualmente, a riparare. Il receptionist ci accompagna al distretto dei meccanici dove facciamo controllare e aggiustare la macchina spendendo una cifra inferiore ai dieci dollari. Ci dicono che il pezzo che si è staccato dalla macchina non sanno a cosa serva e ci consigliano quindi di tranciarlo di netto. Noi, con loro disappunto, decidiamo di tenerlo, così, per scaramanzia. Andiamo quindi al bazar di Nukus dove cerchiamo, senza fortuna, un ulteriore cerchione per la panda.
Nel pomeriggio andiamo al museo di arte figurativa sovietica di Nukus che raccoglie, oltre a reperti archeologici di dubbia provenienza, anche opera d’arte di dubbio valore salvate dalla distruzione della nomenklatura sovietica. È da segnalare che il grosso della collezione è rappresentato da dipinti su cartone risalenti ai primi anni ’80; per citare Alberto: “Noi c’avevamo gli ABBA, loro facevano ‘ste croste; dimmi tu chi stava peggio.”
Usciti dal museo, avendo fatto felice la mamma dando un parvenza di cultura al viaggio, ci dirigiamo verso il ristorante della sera prima per prenotare il piatto speciale della cuoca che richiede almeno tre ore di preparazione tra l’uccisione della bestia, il dissanguamento a gravità naturale e l’acquisto della salsa al supermercato. L’aver ordinato un piatto tipico cerimoniale uzbeko ci fa sentire come dei “fieri viaggiatori, non dei semplici turisti”, sensazione di superiorità che Alberto riverserà su ogni persona arrivata in aereo.
Torniamo in albergo ad aspettare l’ora di cena. Alberto va in camera a schiacciare un pisolino mentre io rimango nella hall a riversare le foto sugli hard disk. Nel frattempo chiacchiero con alcuni degli ospiti della struttura, tra cui una signora inglese che lavora come archeologa per l’accademia russa e che sta studiando un vecchio tempio zoroastriano appena scoperto e scampato alle varie razzie cui l’Uzbekistan è stato vittima. Mi racconta anche delle atrocità perpetuate da Tamerlano ma che, negli scritti ufficiale, si è obbligati a parlarne solo bene in quanto è stato adottato dal regime come eroe unificatore nazionale.
Finalmente ceniamo e il piatto non delude: è un bollito con della pasta e delle cipolle. Dopo cena andiamo subito a dormire perché domani ci attende una tappa impegnativa: da Nukus a Samarcanda, più di 800 km con l’incognita della benzina e della macchina.