Sabato 23 agosto ’14, da Osh a Biškek – Mongol Rally 2014

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Finalmente, dopo oltre una settimana di riposo forzato, siamo pronti a riprendere il nostro viaggio. La macchina è stata riparata e, durante il tragitto dal meccanico alla pensione, tranne che per una leggera tendenza a tirare da una parte, sembra quasi sia in condizioni migliori di quelle che aveva alla partenza.

L’appuntamento è alle otto e mezza di mattina per fare colazione e per preparaci alla partenza. Dopo aver mangiato, carichiamo la macchina, buttiamo via le cose inutili, controlliamo i livelli, le gomme e che non ci siano perdite e poi ci dirigiamo verso la banca, dove ritiriamo della valuta locale in quanto resteremo in Kirghizistan almeno ancora per una notte.

Verso le nove e mezza ci mettiamo in strada in direzione Biškek. A metà di Lenin Street (anche i locali la chiamano in inglese, quindi mi sono adeguato) giro a destra sul ponte, superiamo il consolato russo in cui non ci hanno fatto nemmeno entrare e, dopo il parcheggio dei camion all’ingresso della città, prendo la strada diretta verso la nostra destinazione. Alberto, seguendo quanto indicato dal google maps (che Dio maledica il responsabile dell’Asia Centrale), mi fa fare inversione a U e mi dice di imboccare una stretta stradina che sembra perdersi in un bazar. Subito ci accorgiamo di quanto sia diversa dalla superstrada; per iniziare è completamente sterrata, poi si dipana in piena pianura, circondata da donne al lavoro nei campi, bambini che giocano nei corsi d’acqua e mucche che mangiano l’immondizia. (Stavamo per fare una foto a un vitello che ruminava pacifico una bottiglia d’acqua ma non abbiamo colto l’attimo. Era, in ogni caso, una scena ilare.)

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Proseguendo imperterriti su quella strada incrociano e ci immettiamo sulla strada asfaltata con destinazione Biškek che avevamo lasciato circa un’ora prima. Neanche il tempo di congratularci l’un l’altro per il notevole successo che Alberto mi dice di fermarmi perché secondo lui abbiamo la ruota posteriore destra a terra. Gli dico di aprire la portiera e di sporgersi a controllare (il suo finestrino è bloccato dal primo giorno in Kazakhstan) e purtroppo ha ragione. Accosto sul ciglio della strada e procediamo a sostituire lo pneumatico. Grazie alla notevole esperienza acquisita durante il viaggio siamo di nuovo in movimento in meno di cinque minuti. Ci fermiamo al primo gommista a far riparare la foratura e poi guido fino all’ora di pranzo senza particolari eventi da segnalare tranne il fatto che un sassolino solevano da un’auto che i precede ci fa un buco al parabrezza. 

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Per pranzo ci fermiamo a un magazin dove compriamo latte alla fragola, biscotti, carne in scatola, gelati, succhi di frutta, bibite assortite e acqua. Iniziamo a mangiare nel piazzale antistante al negozio e mi accorgo che il latte ha una consistenza decisamente poco liquida. Rientro a chiedere se sia normale e la commessa gentilmente mi fa notare come quello sia dello yogurt che quindi io mi gusto con piacere. A mia discolpa devo dire che non avevo mai visto dello yogurt in bottiglie dl genere, ma sono queste piccole differenze che ti fanno notare le diversità culturali dei popoli, un po’ come la storia del Royal Con Formaggio e della maionese sulle patatine. 

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L’inizio del pomeriggio lo passiamo su di una strada montagnosa tutta a curve che per un po’ costeggia quello che sembra un lago artificiale e poi si arrampica per dei colli di altezze non indifferenti. Verso le quattordici mi fermo a comprare tre prodotti che creano dipendenza: red bull, chocolate pie orion e semi di girasole e poi di nuovo verso le diciassette facciamo merenda con sprite, gelato e biscotti.

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Nel frattempo registriamo il video in cui urino sul punto di inaccessibilità terrestre. Voglio puntualizzare che la possibilità di richiedere un video al team era data come ricompensa per i sostenitori che avevano dotato per l’associazione che sosteniamo.

Poco prima che scenda il buio, ci fermiamo a cenare in un ristorante in una gola montagnosa. Lo stile del locale è tipicamente alpino, con interni in legno, caminetto e palchi di animali appesi alle pareti ma il menù è decisamente caratteristico della zona. Mangiamo zuppa con carne e stufato di montone mentre guardiamo in televisione l’equivalente kirghizo di MTV, solo che i video sono di una tristezza disumana.

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Ripartiamo che è notte e guido per delle ore su strade montagnose piene di curve, gallerie e strapiombi in mezzo ai folli camion e tir centroasiatici, ma dopo il terrorizzante tunnel della morte della strada per Dushanbe, non temiamo più nulla. Per rimanere sveglio, comunque, ascolto un paio di puntate di scientificast e mangio tortine al cioccolato orion. 

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A: "Col nuovo kit ha aggiunto due cavalli al veicolo."
B: "Giuro che, se ci fosse, ti abbandonerei in autostrada."

A circa 150 chilometri dalla destinazione, prendo una buca del manto stradale troppo allegramente col risultato che il piccolo foro che ci eravamo procurati in mattinata si trasforma in una preoccupante crepa che percorre orizzontalmente tutto il parabrezza. Controllando il danno, ovviamente senza fermarmi, non mi accorgo del primo stop della polizia della giornata e lo oltrepasso senza nemmeno un accenno di rallentamento. Veniamo fermati subito dopo da un paio di militari con i fucili puntati che mi intimano di portare i documenti al posto di polizia. È quasi mezzanotte e sono stanco; prendo quindi la banconota in dollari di taglio minore che abbiamo (20 usd, mannaggia) e la metto nel passaporto, per evitarmi un secondo viaggio tra l’ufficio del comandante e il pandino. Come da copione, dopo aver ispezionato distrattamente la mia patente internazionale e il libretto dell’auto, il militare di grado più alto mi dice che deve farmi una contravvenzione e tira fuori il foglio A3 che dovrebbe compilare. Contemporaneamente però il sottoposto chiude distrattamente la porta dell’ufficio così che io possa, con nonchalance, far scivolare sulla scrivania il passaporto con all’interno la mazzetta. Lui, ovviamente, si finge indignato (non si capisce mai se per il tentativo di corruzione o per lo scarso ammontare monetario dello stesso), io gli dico di considerarlo solo un regalo, quindi, dopo un’energica stretta di mano e un mio rifiuto di brindare a vodka al trovato accordo, posso riaprire la porta e tornare nella fredda notte kirghiza.

Arriviamo finalmente a Biškek. Alberto ha selezionato un paio di ostelli sulla guida in cui andare a cercare una sistemazione per la notte. Essendo ormai tardi decido di chiedere a un tassista di farci strada fino alle destinazione desiderate. Facciamo fatica a trovare un taxi e quando, dopo parecchie strade sbagliate, consultazioni di cartine e telefonate a casa, giungiamo agli ostelli, li troviamo tutti invariabilmente chiusi. Prendo quindi la difficile decisione di passare la notte nell’unico (ma lussuoso) albergo consigliato dalla guida e che avevamo visto durante la nostra ricerca degli ostelli.

Sporchi come poche altre volte e con una macchina pronta alla rottamazione, parcheggiamo davanti all’Hotel Holiday di Biškek e io entro a chiedere se hanno due stanze. Il receptionist dice che c’è posto e quando gli chiedo il prezzo lui me lo dice in valuta locale. Nel tempo in cui io applico a mente il tasso di cambio, contando sulle dita e mormorando sotto voce, lui mi dice che visto che non c’è praticamente nessuno, ci farà uno sconto del 30%. A questo punto gli chiedo di dirmi il prezzo finale in dollari e quando realizzo che è molto ma molto meno di quanto immaginato, rispondo che prendiamo le camere. Adesso succede una cosa che potrei aver frainteso io (considerate che sono quasi 16 ore che guido) ma potrei giurare che sia andata esattamente così. Lui, receptionist di un albergo pluristellato vestito in alta uniforme, alla notizia che avrei preso le camere, si sporge dal bancone e porge la mano aspettando che gli batta il cinque, in barba a ogni protocollo e regola di etichetta. Io, super esalato, non posso che partecipare al festeggiamento. 

Esco a informare Alberto che ci saremmo fermati lì per la notte e scarico i bagagli dall’auto. Vado poi, col responsabile della sicurezza dell’albergo, a parcheggiare nel cortile interno. Quando torno nella hall Alberto ha prenotato cena. Il receptionist, così dice lui, gli ha detto di non esitare a chiedere a lui per ogni necessità, così Alberto ha fatto chiamare un fast food e ha ordinato cena (cheeseburgers, patatine, bibite gasate e via dicendo) facendocela consegnare in albergo con un taxi. 

La giornata finisce quindi con noi in condizioni pietose, sporchi e affamati come delle bestie, che mangiamo cheeseburgers kirghizi all’una e trenta di notte seduti sulle poltrone della hall di un albergo di lusso mentre lanciamo languide occhiate al whiskey scozzese lascivamente appoggiato su una mensola dietro al bancone del bar.