Giovedì 14 agosto ’14, da Khorog a Osh (giorno 4) – Mongol Rally 2014

La sveglia suona alle sette. Ci trasciniamo in cucina dove chiediamo la colazione quindi andiamo a preparare i bagagli. Mangiamo e poi aspettiamo il meccanico che dovrebbe venire a prenderci. Alle otto e mezza finalmente arriva e ci accompagna dal proprietario del camion che ci trasporterà a Osh. Scopriamo che hanno caricato la macchina durante la notte così per le nove siamo pronti a partire. La mattinata scorre lentamente sulle strade dell’altipiano del Pamir; in lontananza si vede la Cina ma il paesaggio rimane molto monotono.

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All’ora di pranzo ci fermiamo a Karakol tuttavia non mangiamo nulla perché il negozio è chiuso. Verso le due del pomeriggio arriviamo al confine tra Tajikistan e Kirghizistan. Alla prima frontiera incontriamo un team che ha rotto il cambio e sta aspettando il pezzo di ricambio da Osh. Superiamo i controlli abbastanza agevolmente e ci dirigiamo, nella terra di nessuno, verso il secondo posto di blocco. Qui abbiamo qualche difficoltà a capire se ci serva o meno la declarazia ma, alla fine, ci fanno passare.

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A destra si può vedere l'autista che paga delle mazzette alla polizia.

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L'autista che prende acqua per raffreddare il camion.

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Nel tragitto verso la destinazione inizia a piovere e siamo costretti a rallentare in quanto il camion non ha i tergicristalli. L’autista ci chiede se vogliamo fermarci per mangiare qualcosa ma noi rispondiamo che vogliamo andare a Osh senza fermarci. Arriviamo, dopo altre sei o sette ore di guida, che è ormai notte. Dopo aver parcheggiato il camion al posteggio dei tir, il cugino dell’autista ci accompagna in ostello. Qui incontriamo gli italiani del team Rust & Dust con cui andiamo a mangiare spiedini di polpette. Torniamo in ostello e ci addormentiamo subito.


Mercoledì 13 agosto ’14, da Khorog a Osh (giorno 3) – Mongol Rally 2014

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Nota: per circostanze particolari, nella giornata raccontata in questo post non ho avuto a disposizione le macchine fotografiche digitali. Le immagini inserite in seguito sono quindi scansioni di negativi in bianco e nero e non pretenziose postelaborazioni di immagini digitali.

Mi sveglio presto e vado subito a controllare l’auto. C’è tutto tranne lo stemma del cavallo alato: una perdita trascurabile ma che, per la prima volta dalla partenza, ci ricorda dei potenziali pericoli dei luoghi che stiamo attraversando, probabilmente con troppa leggerezza. Torno quindi in ostello a fare colazione con l’immancabile frittata in compagnia di un francese che sta lavorando al suo libro fotografico sulle persone e i paesaggi del Tajikistan. Arriva anche Alberto e, mentre fa colazione, chiediamo alla gestrice delle guest house di chiamarci “il miglior meccanico in città” (ad Alberto piace fare lo splendido) e, aspettandone l’arrivo, ci mettiamo a guardare Sharknado 2. Proprio mentre il tornado di squali sta per colpire New York, una ragazza dell’ostello mi avvisa che il meccanico mi sta aspettando alla macchina. Lascio Alberto a guardia dell’attrezzatura fotografica e mi dirigo verso il pandino, dove mi attende una piccola folla di curiosi tra cui il poliziotto della sera precedente. Saluto il meccanico e, dopo le chiacchiere di rito, inizia a sistemare le gomme del lato destro mentre il poliziotto mi prende da parte per cercare di convincermi a vendergli la macchina. Mi dice che si è già informato in centrale, che si occuperà lui di tutti i documenti e delle tasse d’importazione e che l’unica cosa che devo fare è decidere un prezzo. Fortunatamente arriva il francese che mi aiuta a spiegare all’agente che, per me, vendere l’auto è proprio l’ultima opzione disponibile. Gonfiate le gomme, attaccano il pandino a una Lada 4×4 che prima lo traina sulla strada e poi verso la casa/officina del meccanico, una costruzione di mattoni di fango nel quartiere più povero del villaggio, aggrappata alla collina a circa due chilometri dall’ostello. Non appena arriviamo, veniamo accolti dalle donne di casa e dai bambini che mi fanno sedere su di uno sgabello mentre il meccanico e suo cognato smontano il motore e tutti i collegamenti elettrici per cercare il problema.

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Quando arriva il padre del meccanico, l’uomo più vecchio della casa e quindi, per questo, capofamiglia, mi invita a entrare in casa e mi fa servire del tè, del pane nan e una zuppa di latte, brodo e pane. Dopo la seconda colazione torno fuori nel cortile ad assistere ai lavori. Hanno controllato tutti i contatti e i cavi elettrici e sono giunti alla conclusione che il pezzo non funzionante è la bobina che controlla i giri del motore. Io ora sono più fiducioso delle capacità dei meccanici poiché è lo stesso pezzo individuato come causa dei problemi anche dal meccanico di Alichur il giorno prima. Staccano questo pezzo dalla macchina e iniziano a pulirlo, a saldarlo e a incollarlo.

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In risposta a un urlo proveniente dalla casa, i bambini prendono un sedile posteriore di una vecchia Lada, lo posano rovesciato su tre mattoni di fango in un angolo del piazzale all’ombra, vi dispongono intorno altri mattoni e il tavolo e le sedie per pranzare sono pronti. Mi dicono di accomodarmi e che avrei mangiato con gli uomini della famiglia. Viene quindi servito del tè e un plov di riso, uvetta e albicocche che mangiamo con le mani dal piatto di portata. Questo pranzo, sia per il gusto e la qualità del cibo, sia per la situazione e l’ambientazione inconsuete, sia (e soprattutto) per l’ospitalità e la generosità degli ospiti nei miei confronti, è stato uno dei pasti migliori del viaggio (se la gioca forse solo con la cena dell’arrivo). Dopo pranzo si riprende l’attività; si ultima il lavoro di saldatura e incollatura della sonda ma, dopo averla rimontata, il motore ancora non si accende. Avendo finito tutte le idee riguardo all’origine del guasto, il meccanico decide che il problema è imputabile alla centralina, in quanto non è possibile aprirla per controllare. Mi comunica che il pezzo nuovo costa 250 dollari e che arriverà in due o tre giorni. Non sono per nulla convinto che il problema sia dovuto alla centralina così telefono a Totò, il mio elettrauto di fiducia. Sebbene sia in vacanza, mi risponde e mi consiglia, dopo aver sentito del tipo di problema e del crollo del motore che lo ha causato, di controllare il pezzo appena risaldato perché, secondo lui, è quasi sicuro che sia quello a bloccare l’accensione. Prima di riagganciare gli chiedo se sia possibile riparare il pezzo saldandolo e mi risponde che bisogna necessariamente cambiarlo. Poiché, senza sapere che quella bobina era effettivamente rotta, mi ha consigliato di controllarla mi convinco che il problema risieda proprio lì e perciò chiedo al meccanico, sempre convinto di dover cambiare la centralina, se, nel caso avessimo cambiato quest’ultimo pezzo e la macchina non fosse partita, avrei dovuto lo stesso pagare il pezzo di ricambio. Sentendosi offeso da questa mia mancanza di fiducia nella sua competenza professionale, rimonta il motore, chiude il cofano e si mette a fumare in un angolo del piazzale. Io, in risposta, mi metto a fare foto al paesaggio.

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Passa circa un quarto d’ora e il meccanico mi si avvicina e mi dice di seguirlo. Apre il cofano e con un amperometro vuole mostrarmi come non passi corrente dalla centralina. Con sua somma sorpresa, però, da questo test sembra che la centralina funzioni alla perfezione. Controlla ancora un paio di volte, sempre con lo stesso risultato, poi, piuttosto sconcertato e avvilito, mi offre una sigaretta come gesto di scusa per la scenata di poco prima e mi fa segno di seguirlo. Saliamo sulla macchina di suo cognato e ci dirigiamo verso il deserto. Circa tre chilometri dopo, quando iniziamo già a preoccuparmi, ci fermiamo davanti a una cascina sul bordo della strada, entriamo ed è, con mia meraviglia, un rivenditore di ricambi per auto. Su di uno scaffale, appena dietro al bancone, illuminato dal raggio di luce che filtra dalla porta socchiusa, ecco un pezzo molto simile a quello che dobbiamo sostituire. Il meccanico lo ispeziona per un momento poi sentenzia che potrebbe andare bene. Me lo fa comprare quindi torniamo all’officina ma, una volta montato, ci accorgiamo che è troppo corto. Chiama allora il nipote e mi manda con lui al bazar a cercarne uno adatto mentre tenta di rendere il pezzo appena comprato compatibile. Nonostante chiediamo in ogni bancarella e negozietto, il pezzo non si trova; lo cerchiamo anche presso tutti gli sfasciacarrozze della zona ma, ormai, sta scendendo la sera quindi torniamo in officina senza il pezzo di ricambio. Troviamo il meccanico che sta riparando le gomme alla macchina; si è arreso all’evidenza che non riuscirà a fare ripartire il pandino così mi propone di chiamare il proprietario dell’unico camion ZYL del paese e di chiedere a lui se è disponibile a portarci a Osh, la città più vicina, dove crede il guasto potrà essere riparato. Ci mettiamo d’accordo per il trasporto poi torno in ostello dove ceno con Alberto con un piatto misto di verdure e carne e alle 21 andiamo a dormire in quanto l’indomani abbiamo la partenza fissata per le 9.