Martedì 12 agosto ’14, da Khorog a Osh (giorno 2) – Mongol Rally 2014

Mi sveglio dopo un paio di ore di sonno. La luce del mattino ha scaldato la tenda quel poco che basta per dormire ma, appena esco, il vento che aveva iniziato a soffiare nella notte mi ricorda del posto estremo in cui mi trovo. La temperatura ancora sotto lo zero e il vento orizzontale non mi permettono di fare colazione quindi vado a controllare la macchina. Spero in un miracolo che non avviene: il motore continua a non avviarsi. Arriva anche Alberto e fermiamo un tir e un minibus ma neanche loro riescono a far ripartire il pandino. Ci dicono che a trenta chilometri c’è un meccanico così spedisco Alberto sul minibus a cercarlo e a portarlo alla macchina. Rimango quindi da solo. Smonto il campo nonostante il vento, faccio qualche foto alle mucche che pascolano sull’altipiano, poi tiro fuori la sedia e mi metto a leggere al sole protetto dalla macchina.

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Per quasi due ore non passa nessuno poi, quasi magicamente, all’orizzonte appare un ciclista che si ferma a mangiare dei plum cake e a bere un po’ d’acqua. È inglese, sta facendo il giro dell’Asia Centrale pedalando in solitaria perché “non aveva di meglio da fare” ed è in giro da oltre un anno.

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Poco prima che riparta arriva un fuoristrada UAZ Patriot guidata da Anton, un russo che sta visitando il Pamir con la ragazza. Riesco a convincerlo a farmi trainare fino al meccanico nonostante anche loro abbiano dei problemi al motore. Prima usiamo il mio cavo da traino ma dopo un paio di chilometri si spezza, quindi usiamo il suo. Sbagliamo inoltre strada e ci impantaniamo nella sabbia. Faccio inversione spingendo il pandino a braccia e, ritornati sulla strada giusta, siccome il loro fuoristrada non ha abbastanza potenza per trainarmi in sicurezza, decido di lasciarli andare e di aspettare qualcun altro.

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Anton è così dispiaciuto di non potermi aiutare e di lasciarmi lì che, dopo esserci scambiati i contatti e gli indirizzi, mi invita a casa sua e mi regala il cavo di traino e una scatoletta di carne. Al mio appunto che non ho un apriscatole e che quindi non avrei potuto mangiarne il contenuto, lui mi dice che non ce l’ha nemmeno lui e che è il gesto del regalo che conta, indipendentemente dall’utilità.

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Sono di nuovo solo nell’altipiano del Pamir; ritiro fuori la sedia, i plum cake, l’acqua e il libro e cerco di ricavare il meglio dalla situazione.

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Dopo l’ora di pranzo vedo arrivare un pulmino pieno di persone che si ferma dove sono io e da cui scende Alberto, seguito da quello che sembra un militare e da gente assortita. Sono il meccanico e la guarnigione del paese successivo, compreso l’ufficiale in carica. Alberto mi spiega che non avendo lui i documenti e i militari nulla da fare, questi ultimi hanno deciso di accompagnarlo a recuperare il pandino. Il meccanico apre il cofano e si mette a fissare l’auto il più forte che può, poi gira la chiave per metterla in moto e, infine, sentenzia che non può ripararla lì ma che bisogna trainarla alla sua officina, presso il paese successivo: Alichur. In men che non si dica la guarnigione collega il pandino al minibus, risale nel veicolo (uno si siede vicino a me nel posto del passeggero e si addormenta subito) e si riparte. Nelle salite, poiché la macchina del meccanico ha una cilindrata di 1.1 litri, tutti scendono e spingono, mentre nelle discese si stacca il cavo di traino e si lascia che il pandino sfrutti la gravità. Poco prima della destinazione ci fermiamo perché l’ufficiale deve chiedere una mazzetta a un camion che abbiamo incrociato e io ne approfitto per scattare un paio di foto.

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Finalmente, nel pomeriggio inoltrato, arriviamo a casa del meccanico e lui si mette, con altre persone del luogo, a ispezionare il motore. Noi chiacchieriamo con alcune ragazze del luogo e ammiriamo il panorama.

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Ci si avvicina il meccanico con delle cattive notizie: è rotto un pezzo elettrico e lui non può ripararlo. Dobbiamo portare la macchina al prossimo paese, Murghab, distante più di 100 chilometri. Si offrono di accompagnarci loro: caricheranno la macchina sul retro di un camion sovietico e noi viaggeremo in cabina. Contrattiamo il prezzo e poi iniziano i preparativi. Rimontano il motore del camion, si controllano tutti i livelli e viene fatta benzina. Trainano quindi il pandino fino a una strada rialzata dove viene caricato sul retro del camion e noi prendiamo posto sulla panca insieme al meccanico e a un suo giovane assistente.

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Il viaggio dura più di quattro ore in quanto ogni paio di chilometri l’autista deve scendere a innaffiare d’acqua il motore per raffreddarlo e a versare benzina nel cofano (?). Arriviamo quindi a Murghab alle undici di sera ed è già notte inoltrata; non ci portano all’ostello che abbiamo scelto bensì al parcheggio dei tir del paese e a una pensione lì vicino. Mentre parliamo con la proprietaria per sapere se c’è posto arriva una macchina della polizia da cui scende un agente che inizia a farci domande sulla macchina. Inizialmente pensiamo voglia la solita mazzetta ma poi capiamo che vuole comprare la nostra Panda. Gli diciamo che prima di venderla vogliamo provare a ripararla e che poi, eventualmente, ne avremmo parlato. Lui insiste e noi, sfiniti, gli diciamo che non vogliamo venderla. A questa notizia riparte nella sua ronda notturna e noi prendiamo due camere alla pensione. Ora dobbiamo scaricare la macchina dal retro del camion; la procedura è, teoricamente, semplice: il camion si avvicina a un muretto e si spinge la macchina fuori dal cassone. Andiamo quindi al parcheggio dei tir per farlo ma vediamo che il meccanico e il suo amico sono stanchi e non sembrano voler fare un buon lavoro. Io ripeto loro che se la macchina si dovesse rovinare durante la procedura non li avrei pagati; loro mi assicurano che non ci saranno problemi. Iniziano gonfiando le ruote del lato sinistro (precedentemente sgonfiate in fase di carico) usando un compressore di un camion. Le gomme si gonfiano senza problemi. Passano quindi al lato destro ma le gomme sono uscite dalla sede dei cerchioni a causa dei movimenti del camion e non sono quindi gonfiabili. Bisognerebbe alzare la macchina col crick solo che il camion è in discesa perciò decidono di scaricarla con due gomme a terra. Dopo parecchi sforzi e con il nostro aiuto, si riesce a metterla sul muretto, non senza prima sfregare tutto il pianale sul bordo del camion e del muretto. Ora però la Panda è bloccata perché dietro di lei c’è una montagnola di detriti, davanti un muretto di un metro e mezzo, ha due gomme a terra che ora i trasportatori si rifiutano di riparare e/o gonfiare e il motore non parte. In aggiunta, arrivano due ragazzi del luogo che ci garantiscono che non svaligeranno la macchine durante la notte, ovviamente in maniera ironica. Noi siamo distrutti dopo i due giorni appena passati in altura così prendiamo tutte le cose di valore dalla macchina, la chiudiamo, paghiamo il meccanico e il suo amico e ci dirigiamo verso l’ostello. Nel tragitto incontriamo il poliziotto che persevera nel voler comprare la Panda; facciamo finta di non capirlo, non ci fermiamo e ci infiliamo nella pensione. Alberto va subito a dormire mentre io mangio la colacena e poi, anch’io, distrutto, vado a letto.

Lunedì 11 agosto ’14, da Khorog a Osh (giorno 1) – Mongol Rally 2014

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Dopo un’abbondante colazione in ostello ci rechiamo in paese per cercare un meccanico in grado di riparare la perdita di olio della macchina.

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Dopo un paio di tentativi infruttuosi presso officine non dotate della necessaria attrezzatura, guidando lentamente in una via parallela alla strada principale, troviamo una persona stesa per terra intenta a lavorare sulla parte inferiore di una macchina. Ci fermiamo e gli chiediamo se è in grado di ripararci la macchina. Lui mette il pandino sul crick, colloca una pietra sotto la ruota posteriore e quindi sparisce sotto il veicolo per ispezionare il problema. Quando riappare ci dice che non può riparare il guasto ma che può bloccare la perdita d’olio per permetterci di arrivare a Osh, distante una giornata di guida, dove sono in grado di aggiustarlo e si mette subito al lavoro.

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Rinfrancati da questa notizia, dopo aver comprato una RC Cola al market lì vicino, ci sediamo su un muretto all’ombra e guardiamo il meccanico lavorare mentre intorno a noi si forma una piccola folla.

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Chiacchieriamo in russo e in inglese con alcune ragazze che fanno da interpreti per gli adulti presenti mentre i bambini giocano sul marciapiede. Un’oretta dopo il meccanico ci dice che, con le fascettature di rigore, il problema è arginato e, quando gli chiediamo dove poter riparare la ruota di scorta, si offre di sistemarla lui. Prende perciò la gomma e scompare lungo la via. Le ragazze intanto ci offrono del tè ma noi rifiutiamo per non disturbare, però, quando ci chiedono i nostri contatti facebook, siamo felici di accontentarle. Il meccanico ritorna con la gomma riparata e una sorpresa: è tutto gratis. Cerchiamo di capire il perché e ci viene detto che siccome non ha riparato il danno ma ha solo rattoppato la falla, non ha fatto il suo lavoro e perciò non vuole essere pagato. Noi ringraziamo sentitamente e ripartiamo verso il ristorante indiano in cui Alberto è due giorni che vuole mangiare ma lo troviamo chiuso. Ci dirigiamo quindi verso il ristorante del parco di Khorug e durante il tragitto Alberto riceve i complimenti di alcuni ragazzi del luogo. Mangiamo wurstel, patatine, salsicce in pastella, gelato e tè al lampone. Andiamo quindi in ostello a caricare i bagagli e lasciamo Khorug guidando sulla M41, la famigerata Pamir Highway.

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Al primo distributore incontriamo tre spagnoli su di una Panda 4×4 cui hanno appena fatto risaldare il telaio; li salutiamo, scambiamo quattro parole e ripartiamo. Subito dopo ci imbattiamo al solito posto di blocco per il controllo dei documenti e mi chiedono una mazzetta di 200 dollari che io, per non cambiare, non pago e riprendiamo il cammino. La strada si mantiene discretamente bella, è in continua ascesa e solo in cima ai passi è sterrata ma rimane abbastanza veloce perché non ha buche.

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In cima al terzo e ultimo colle, all’inizio dell’altipiano del Pamir e a una quota superiore ai 4.200 metri sul livello del mare, di colpo, il motore si spegne. Accosto e provo a rimettere in moto ma, nonostante il motorino d’avviamento giri, il motore non si accende. Aperto il cofano, costatiamo, con disappunto, che il blocco motore non è più collegato al telaio, ma penzola mestamente sorretto solo dal supporto destro. Inoltre, nel suo movimento mosso dalla gravità, ha spaccato tutta la parte inferiore da cui, ora, gocciola olio copiosamente. Fortunatamente si ferma un gruppo di camionisti per darci una mano: per prima cosa, col loro aiuto, rimettiamo il motore in sede e lo fissiamo con un bullone al telaio, poi cerchiamo di fare ripartire il pandino, ma invano.

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Le ipotesi sono due: o il guasto è dovuto alla pompa della benzina oppure il problema è imputabile all’impianto elettrico. Capiamo che abbiamo bisogno di un meccanico così ci facciamo trainare verso il paese più vicino da un tir. Appena cominciata la discesa, però, mi accorgo che non avendo visibilità, con la corda di traino troppo corta e con i freni a servizio ridotto, rischio di non frenare in tempo e di scontrarci col camion che ci tira. Decido quindi di staccare il cavo di traino e di lasciare andare il tir. Siamo di nuovo fermi a bordo strada, il sole sta tramontando e iniziamo a sentire freddo, anche indossando le giacche invernali. All’orizzonte ecco però apparire una sagoma familiare: è la Panda 4×4 del team spagnolo incontrato poche ore prima. Facciamo loro segno di fermarsi e, nel nostro tristissimo spagnolo, spieghiamo il nostro problema. Uno di loro allora tira fuori dal bagagliaio una valigetta piena di attrezzi meccanici ed elettrici e inizia a fare il check al nostro pandino. Il risultato è che non arriva corrente alle candele e che quindi non vi è combustione nei cilindri. Controlliamo tutti i contatti ma non troviamo il guasto quindi ci rassegniamo e chiudiamo il cofano. Loro si offrono di trainarci fino al paese successivo alla ricerca di un meccanico. Tirano fuori la corda di traino, la legano al posteriore della loro auto e alla barra anteriore della nostra e ripartiamo. Durante il primo pezzo di strada pianeggiante non vi sono problemi e possiamo anche fare foto e video ma, non appena la strada inizia a salire e la corda va in tensione, la nostra barra si piega e il loro paraurti posteriore (assieme alla loro targa) si stacca: avevano attacco la corda alle due macchine non al telaio ma ai paraurti.

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Ci rassegniamo quindi a passare la notte in tenda in quota e ci congediamo dal team spagnolo giacché non vogliamo rallentarli ulteriormente. Parcheggiamo la macchina a bordo strada e iniziamo a scaricare il necessario per la notte. Montiamo il campo alla luce delle lampade e al freddo (il termometro segna già temperature inferiori allo zero alle otto di sera), mangiamo delle scatolette in tenda e poi ci corichiamo.

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Qui è dove ci siamo accampati.

Verso mezzanotte mi viene in mente che il problema potrebbe essere dovuto all’interruttore di sicurezza della macchina. Mi vesto a vado a controllare ma la macchina continua a non partire. Faccio un paio di foto al cielo siccome c’è la “super luna” quindi torno nel sacco a pelo tutto vestito ma per il freddo non chiudo occhio fino alle prime luci dell’alba.

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Quest'ultima foto è un palese (e tristissimo) fotomontaggio ma
non si vedevano le stelle...