Giovedì 7 agosto ’14, Dushanbe – Mongol Rally 2014

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La mia sveglia suona alle 11:30, dopo neanche 3 ore di sonno, ricordandomi che ho cose da fare e poco tempo. Vado a bussare ad Alberto nella remota possibilità che sia già sveglio e voglia mangiare qualcosa e, sorprendentemente, lo trovo già pronto. Usciamo dall’albergo cercando un locale che cucini della carne e ci incamminiamo verso il parco, dove ci sediamo al Café Mockva, specializzato in spiedini di carne e birra ghiacciata. Ordiniamo 3 spiedini di vitello a testa e ci gustiamo la freschezza dell’ombra e la gentile brezza che soffia dalla fontana lì vicino.

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Il nostro hotel a Dushanbe

Dopo pranzo ritorniamo in albergo e Alberto torna a dormire mentre io, con un fattorino dell’hotel, vado a far riparare le gomme e pulire la macchina. C’è un piccolo momento di panico prima di partire quando non trovo le chiavi della macchina da nessuna parte ma poi vado a vedere se le ho lasciate nella serratura ed è proprio lì che le trovo, dimenticate dal nostro arrivo all’alba.

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Mentre aspetto che il lavoro venga completato regalo qualche spilla ai bambini del luogo quindi torno in albergo.

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Prima di cena c’è il momento culturale di Dushanbe che consiste nel visitare una rotonda enorme con all’interno due obelischi e un carro armato sovietico. Successivamente ceniamo al ristorante libano/siriano Al-Sham con kebab misto e milkshake quindi torniamo a dormire perché domani ci aspetta la famigerata autostrada M41 che attraversa il Pamir.

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Mercoledì 6 agosto ’14, da Samarcanda a Dushanbe – Mongol Rally 2014

Precisazione: questo post conterrà poche immagini a causa della lunghezza e difficoltà della tappa, ci scusiamo per l’inconveniente.

Samarcanda dushanbe

Dopo una sveglia ai limiti dell’umano e la colazione, chiediamo ad Abdu, il gestore dell’ostello, quale sia il migliore confine per andare dall’Uzbekistan al Tajikistan. Come ci era stato detto da altri team, purtroppo quello diretto tra Samarcanda e Dushanbe è chiuso e le alternative sono due: passare da sud o da nord, in direzione Bekabad. Noi scegliamo di andare verso Bekabad poiché le strade dovrebbero essere migliori, anche se dopo il confine ci aspettano le montagne e la strada da percorrere supera i 600 chilometri.

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La vista di Samarcanda dall'ostello

Prima di lasciare Samarcanda dobbiamo cercare qualcuno che ci venda della benzina. Ci viene in soccorso Abdu che ci indica la zona in cui si concentra il mercato nero di carburante. Alberto, come suo solito, funge da navigatore. Bisogna sapere che per lui la strade migliore è sempre la più breve tra due punti e per calcolare il tragitto anche questa volta non cambia filosofia. Ci ritroviamo quindi in brevissimo tempo nella “favela” di Samarcanda. La strada è una latrina non asfaltata a cielo aperto, alla nostra destra vi sono case di fango diroccate e palesemente sovrautilizzate, alla nostra sinistra un salto di una decina di metri che finisce in una discarica e in un torrente. Intorno a noi decine di bambini divertiti e anziani che, seduti all’ombra di muretti, ci guardano con fare interrogativo. Noi proseguiamo a passo d’uomo rispondendo a ogni compiaciuto saluto e arriviamo, abbastanza a sorpresa, sulla strada principale a due corsie separate da un muretto. Si può girare solo a destra ma noi dobbiamo andare a sinistra. [Piccolo excursus: le regole della strada in Asia Centrale sono abbastanza elastiche: si può fare praticamente tutto, basta non intralciare i camion e i taxi che non si scanseranno per nessun motivo, per il resto basta avvisare le altre vetture con ripetute e ritmiche strombazzate di claxon. Nel caso però si venisse fermati dalla polizia bisogna ricordarsi che in questi paesi la giustizia è matematica: basta pagare e l’infrazione sparisce.]

Ci immettiamo quindi, svoltando a sinistra, nel traffico contromano e, suonando il claxon per avvisare le macchine della nostra presenza, avanziamo fino al primo incrocio dove possiamo entrare nella giusta carreggiata di marcia. Troviamo, come predetto, i venditori di benzina e facciamo il pieno quindi partiamo in direzione di Bekabad. A metà mattina veniamo fermati da un’auto della polizia che ci contesta una velocità di 85 km/h su di una strada con limite di 70 km/h. Per quanto scritto nell’excursus di cui sopra, con una mazzetta di 10 dollari l’infrazione scompare e siamo liberi di continuare il nostro viaggio.

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All’ora di pranzo, visto che la tappa è di notevole lunghezza, decidiamo di fermarci a pranzo in un locale per camionisti sul ciglio della strada. Mangiamo panzerotti di montone e cipolle e poi degli spiedini bevendo del tè. Proviamo anche a chiedere se possono spedire le nostre cartoline ma quando gliele mostro loro le osservano con attenzione, mi fanno i complimenti per le belle foto e mi mostrano delle loro foto del posto in cui vivono e di dove sono stati. A quanto pare in Uzbekistan le cartoline non sono comuni come in occidente.

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Ripartiamo e ci portiamo a una decina di chilometri dal confine dove ci fermiamo a un posto di blocco. Alle domande di rito rispondiamo che stiamo andando a Dushanbe e il poliziotto ci informa che il confine lì vicino è unicamente a uso dei pedoni e che quindi non avremmo potuto attraversarlo con la macchina. Ci dice però che il confine per le vetture è a una cinquantina di chilometri più a nord così è lì che ci dirigiamo trovandolo non senza qualche difficoltà. Siamo però l’unica macchina in coda quindi non dobbiamo aspettare praticamente nulla.

Dopo i timbri di rito sui passaporti, al controllo doganale decidono di ispezionarci tutta la macchina e i bagagli. Non ce l’aspettavamo e, vuotando tutto il carico dalla macchina, mi rendo conto che ho lasciato la mazzetta con tutte le valute per il viaggio nella tasca superiore della borsa fotografica. Potrebbe essere un problema giacché abbiamo dichiarato di non avere con noi contanti e non sappiamo cosa potrebbe comportare questa incongruenza. Il sergente inizia col controllare gli scatoloni del cibo, poi passa all’attrezzatura da campeggio e alla maschera da cavallo decide di fare uno scherzone alla guarnigione. Ne approfitto per mettere gli zaini sul tavolo di ispezione in modo che la tasca superiore di quello contenente l’attrezzatura fotografica sia poco visibile. Il militare torna e si mette ad aprire e a svuotare tutti gli zaini, io gli rimango sempre di fianco e gli spiego a cosa servono le strane cose che trova. Prima che possa avvicinarsi allo zaino in questione, mi faccio avanti e, con la scusa che l’attrezzatura è molto costosa, lo apro io e gli indico i vari obiettivi spiegando le loro caratteristiche tecniche e a cosa servono. Lui, visibilmente annoiato dalla mia nerdaggine fotografica, mi fa segno di richiuderlo e di ricaricare tutto in macchina senza ispezionare tutte le altre tasche.

Rimontata la macchina, ripartiamo e ci portiamo a ridosso del confine tajiko dove, prima ancora di varcare i gloriosi cancelli per uscire dalla terra di nessuno, ci fanno compilare una declaratia quindi ci fanno accedere alla frontiera. Il primo controllo dei passaporti è veloce e indolore, al secondo passo della procedura mi vendono un foglio bollato per 5 dollari di cui non ho mai capito la funzione, il terzo step è il controllo doganale. Dopo aver sbagliato l’ingresso ed esserci fatti urlare “demonio” in italiano da un camionista per l’errore commesso, pagando 25 dollari all’ufficiale incaricato (non abbiamo capito se sia un dazio ufficiale o una mazzetta) ci fanno passare senza alcun controllo e finalmente siamo in Tajikistan.

Il paese sembra da subito molto povero, in deciso contrasto con quanto visto fino a qui. Vi sono molti animali liberi per strada e le case sono tutte di mattoni di fango e consumate dal tempo. Seguiamo la strada per Dushanbe e arriviamo a una grande città dove decidiamo di fare benzina. È già notte e l’unico distributore che accetti le carte di credito è il gazprom dello stadio dove si sta disputando un incontro di lotta del campionato asiatico quindi tutta la zona è congestionata dal traffico. Riusciamo a raggiungerlo e a fare il pieno e ne approfitto per comprare una redbull, una jaguar (bevanda energetica che poi scopriamo avere il 7% di alcol), due panzerotti, una busta di patatine al granchio e una al montone. Ci rimettiamo in cammino mangiando quanto ho comprato ma i panzerotti devono essere subito buttati dal finestrino in quanto la carne di montone al loro interno ha il gusto dei detersivi e ci viene a entrambi da vomitare dopo ogni morso.

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Altra foto del locale di pranzo

Arriviamo finalmente alle pendici delle montagne che ci separano da Dushanbe verso le 11 di sera. Pago il casello più caro dell’Asia centrale (23 sum, quasi 5 euro) e iniziamo la salita ma, dopo una curva, prendo una buca di sbieco e distruggo una gomma e ammacco il cerchione. Provvediamo prontamente a sostituirla ma la ruota di scorta è sgonfia e il cerchione è deformato. La situazione è critica: siamo nel mezzo delle montagne tajike, sono quasi le 11 e mezza di notte, inizia a fare freddo, ci manca una ruota e siamo ancora lontanissimi dalla nostra destinazione. Faccio rimontare la gomma squarciata e decido di guidare fino a valle per cercare aiuto. Dopo circa un’oretta arriviamo al casello dove ci fanno ripagare, parcheggio in mezzo ai tir ed entro nel bar dei camionisti per cercare aiuto. Miracolosamente un afgano capisce quello che sto cercando di dire ed esce in nostro soccorso. Riesce, a martellate, a raddrizzare il cerchione deformato e, col compressore del suo camion, rigonfia la gomma quindi la rimontiamo e siamo pronti per ripartire.

Ripaghiamo il casello e iniziamo, per la seconda volta, la scalata delle montagne. Con tir che sfrecciano da tutte le parti e strade sterrate e pericolosamente esposte, superiamo un paio di colli fino a che troviamo una galleria: è a malapena a due corsie, non ci sono areazione né illuminazione, ma è asfaltata e la percorriamo in circa 20 minuti. La vallata successiva sembra possa condurci direttamente a destinazione senza altri patemi, ma ci sbagliamo. All’improvviso la strada sale con pendenze del 17% (dato comprovato dai cartelli a bordo strada) fino a uno spiazzo su cui si apre un buco rossiccio da cui esce una fitta coltre di fumo. È ciò che i locali chiamano “La Galleria Dell’Inferno”, ma questo ancora non lo sappiamo. Entriamo con la sicurezza dei principianti e all’improvviso siamo catapultati nel posto più pericoloso visto finora. Ecco alcuni dei problemi notati dal team:

  • la galleria ha un’unica corsia perché la seconda è in costruzione;
  • la seconda corsia è in costruzione in quel momento;
  • ci sono lavoratori lungo tutto il tunnel;
  • non c’è asfalto;
  • ci sono 15 cm di acqua per terra;
  • ci sono buche enormi;
  • ci sono quasi 50 gradi centigradi e un’umidità da sauna;
  • non c’è illuminazione;
  • non c’è areazione;
  • c’è un fumo che impedisce di vedere la fine del cofano;
  • ci sono tir che viaggiano nei due sensi di marcia e non frenano davanti a nulla;
  • ogni tanto ci sono blocchi di cemento non segnalati che impongono di cambiare corsia.

Impieghiamo, per uscire da questo incubo, circa 50 minuti ma poi la strada è tutta in discesa e arriviamo a Dushanbe per le 4:30 del mattino. Dobbiamo solo trovare l’albergo ma le mappe di google ci portano nel posto sbagliato. Proviamo a cercare un wifi aperto senza successo e a telefonare ma nessuno risponde. Finalmente verso le 6 di mattina riusciamo a entrare in contatto con l’hotel e ci facciamo venire a prendere. La giornata potrebbe finire qui ma la mia camera non è ancora pronta così faccio colazione e, distrutto, vado a dormire alle 8:30 di mattina. Però siamo arrivati in Tajikistan.