Domenica 10 agosto ’14, Khorog – Mongol Rally 2014

Oggi è domenica (non che importi durante il Mongol Rally) ma noi ne approfittiamo per svegliarci comodamente verso le 11 del mattino e, essendo gli unici ospiti dell’albergo, riusciamo anche a farci servire la colazione. Ci prepariamo quindi senza fretta e ci dirigiamo verso l’ostello più economico, il celebre Pamir Lodge, sperando di riuscire a trovarlo con la luce del giorno. Incontriamo sulla strada un gruppo di giovani che sono palesemente dei turisti francesi, ci fermiamo, chiediamo loro informazioni e, seguendo le loro indicazioni, arriviamo in breve tempo alla struttura. Pranziamo con un bollito di montone e verdure e io porto la macchina dal meccanico consigliatoci dall’oste. ll meccanico da cui vado lavora in casa (è per questo che è l’unico aperto di domenica) e, dopo aver ispezionato la macchina, mi dice che non può fare nulla perché non ha l’attrezzatura per sollevarla.

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Torno in ostello a bere il tè. Nel frattempo arrivano gli inglesi con cui ci eravamo accampati qualche sera prima e decidiamo di organizzare una partita di calcetto.

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La sera andiamo a cena tutti assieme ma, trovando il locale chiuso, cuciniamo il cibo che ci eravamo portati dietro nel parcheggio dell’ostello.

Sabato 9 agosto ’14, da Dushanbe a Khorog (giorno 2) – Mongol Rally 2014

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Mi sveglio prima del suono della sveglia, puntata per le sette di mattina, e vedo che nessuno è ancora in piedi. La cosa mi stupisce poiché la sera prima gli inglesi avevano detto che la loro partenza era fissata per le otto in punto e noi ci eravamo adeguati. Aspettando Alberto mi metto a riordinare la macchina in maniera che il materiale di cui abbiamo maggiormente bisogno sia accessibile più agevolmente e, quando si sveglia, dopo essersi bevuto il caffè, partiamo lasciando il convoglio ancora addormentato. Al seguente villaggio facciamo benzina a un distributore gestito da bambini e poi riprendiamo la strada in direzione di Khorog.

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Non sappiamo quanto ci rimanga da percorrere ma, sperando che la macchina regga, dovremmo arrivare in giornata. La strada migliora leggermente ma, ai primi scossoni, si stacca la marmitta. Scendiamo a controllare e non possiamo fare altro che staccarla completamente con l’aiuto di un coltellino svizzero e della mazza da baseball e caricarla nel bagagliaio. Ora la panda ha davvero il suono di una macchina da rally. D’ora in poi, ogni bambino salutante o ogni ragazza degna di nota, riceverà una sonora sgasata di saluto/assenso.

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Dopo un paio di colli con quote non elevatissime, raggiungiamo una città di confine: al di qua del fiume è Tajikistan, al di là è Afghanistan. Facciamo la spesa per il pranzo in un supermercato e poi, costeggiando il fiume, avanziamo verso la nostra destinazione.

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Non abbiamo nessun problema fino al tardo pomeriggio quando, prima di un ponte crollato, cercando di superare dei TIR parcheggiati, ci impantaniamo nella sabbia. Abbiamo bisogno del soccorso di un fuoristrada ma riusciamo a liberarci. Ci dirigiamo quindi verso il posto di blocco a ridosso del ponte dove, dopo averci controllato i documenti, alla nostra domanda di quanto manchi per Khorug, ci rispondono circa 160 chilometri. Dobbiamo prima però superare il ponte crollato utilizzando un guado di fortuna costruito dai camionisti.

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Come avvenuto con la maggior parte degli attraversamenti dei ruscelli fino qui, facciamo dei danni: sulla salita per rientrare in strada, superando un dosso notevolmente appuntito, tocchiamo il suolo col sotto della macchina. Controlliamo subito i danni e non dovrebbe esserci nulla di rotto ma notiamo che perdiamo qualche goccia di olio. Al primo meccanico, sebbene sia già scesa la notte, ci fermiamo per fare controllare la macchina ma ci viene detto che è solo una guarnizione del motore allentata. Noi, per quel poco che conosciamo di meccanica, sappiamo che non è il motore che perde quindi, con una scusa, affermiamo che non possiamo fermarci a fare riparare la macchina e continuiamo il nostro tragitto.

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Gli ultimi quaranta chilometri fino a Khorug sono su di una strada buona e ne approfittiamo per accelerare un po’ e fare, occasionalmente, delle gare con le altre macchine che incontriamo. Con questo divertente passatempo arriviamo a destinazione e ci mettiamo alla ricerca di una sistemazione per la notte. Accamparci non è una soluzione possibile in quanto molti dei campi e dei prati dei dintorni sono ancora minati e siamo, letteralmente, a portata di tiro dall’Afghanistan. I primi due alberghi in cui chiediamo sono completi. Cerchiamo quindi l’ostello consigliato dalla guida ma non riusciamo a trovarlo; l’unica possibilità rimasta è vedere se hanno posto nel solo albergo in cui non siamo ancora stati, il Serena. Questa sistemazione propone camere di gran lusso con prezzi che, data la zona, quasi nessuno si può permettere e, per nostra fortuna, ha ancora delle camere libere per la notte. Alla fine, abbondantemente dopo la mezzanotte, andiamo a dormire. Il programma per l’indomani è: trovare un ostello meno dispendioso e fare riparare la perdita dell’auto.

 

Le seguenti foto sono immagini dell’Afghanistan.

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Venerdì 8 agosto ’14, da Dushanbe a Khorog (giorno 1) – Mongol Rally 2014

Oggi iniziamo l’autostrada del Pamir che dovrebbe portarci in tre o quattro giorni in Kirghizistan. La tappa odierna è da Dushanbe a Khorog, circa 520 chilometri di strada montana di cui non sappiamo le condizioni né prevedere i tempi di percorrenza. Leggiamo sulla guida che i fuoristrada la percorrono in circa sedici ore, noi quindi preventiviamo di metterci otto o nove ore.

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Partiamo da Dushanbe di buon’ora e subito ci fermiamo a fare benzina, a controllare le gomme e a comprare un paio di litri di RC Cola, la Coca-Cola del posto la cui etichetta dice sia stata inventata nel 1905 in Georgia, USA. Appena fuori la città ci imbattiamo in un susseguirsi di banchetti che vendono scope e ci fermiamo per comprarne una, senza evidenti motivazioni o utilità alcuna.

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La strada per i primi 100 chilometri è pianeggiante e ben asfaltata, così che ci fermano due pattuglie della polizia dotate di autovelox per contestarci la velocità eccessiva ma riusciamo a evitare le multe, una volta facendo finta di non capire cosa ci venisse detto, l’altra pagando una mazzetta di 10 dollari alle sempre affidabili forze dell’ordine. Dopo un posto di controllo dei documenti, prendiamo il bivio verso Khorug e iniziamo con la strada montagnosa e in salita.

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Le nostre aspettative dell’M41 vengono subiti soddisfatte: strada sterrata a tre quarti di corsia, da un lato una parete verticale di roccia, dall’altro uno strapiombo sul fiume di decine di metri e, in mezzo, un continuo via vai di camion sovietici, TIR, fuoristrada giapponesi e minibus.
IMG_2220 copiaOgni volta s’incontra un mezzo che viaggia nella direzione opposta, facendosi da parte per lasciarlo passare, si rischia la morte. Percorriamo queste piste per una ventina di chilometri e incontriamo il nostro primo torrente da attraversare. Emozionati, accendiamo la GoPro e ci apprestiamo a registrare il nostro eroico guado. Rallento prima di mettere le ruote in acqua per assicurarmi di non toccare terra col fondo dell’auto e poi piano piano avanzo verso la sponda opposta. Sembra che sia andato tutto per il meglio ma il pandino inizia a perdere potenza fino a fermarsi. Il motore gira a vuoto e, anche con le marce inserite, non riusciamo ad avanzare. Scendiamo a verificare il danno e ci accorgiamo che non c’è nulla che noi possiamo fare per riparare il motore sul posto.

Decidiamo di fermare qualcuno per vedere se si riesce a fare qualcosa per farci continuare (o almeno tornare verso un meccanico). Si ferma un 4×4 di una famiglia tajika e, dopo aver ispezionato il veicolo, ci dicono che si è staccato un bullone che tiene insieme il motore e il cambio (ci sembra di aver capito) così che la forza del motore non si trasmette alle ruote e che, se ritroviamo i pezzi, c’è la possibilità di ripararlo. Inizia quindi la ricerca del bullone perduto per tutta la strada fino al ruscello. Cerchiamo anche nell’acqua, con le mucche che ci guardano interrogative mentre si abbeverano, ma troviamo solo un tubo metallico e un piattello. Guardando meglio ci rendiamo conto che il piattello era saldato al motore e che si è staccato colpendo una roccia sommersa e che quindi non c’è modo di ripararlo.

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Si ferma un camioncino pieno di coloro che sembrano dei santoni musulmani e ci dicono che il meccanico più vicino è al bivio precedente, a circa 20 chilometri di distanza. In quel momento passa un fuoristrada della Croce Rossa e facciamo segno all’autista di fermarsi. Acconsentono, anche se di mala voglia, di trainarci dal meccanico. Salutiamo la piccola folla amichevole che si è riunita per aiutarci e partiamo in direzione del meccanico.

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Il simpatico artigiano, dopo essere andato ad acquistare i pezzi necessari, ci ripara la macchina e, a poche ore dal tramonto, possiamo rimetterci in viaggio.

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Ormai è tardi e dobbiamo accamparci sul lungo della strada. Il caso vuole che, dopo circa un’oretta, incontriamo una carovana di tre team del Mongol Rally e decidiamo di accamparci con loro in una radura sul lungo fiume. Montiamo le tende, mangiamo la pasta all’amatriciana, ci raccontiamo alcune delle nostre avventure davanti al fuoco e poi andiamo a dormire.

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Giovedì 7 agosto ’14, Dushanbe – Mongol Rally 2014

Ottieni i Percorsi

La mia sveglia suona alle 11:30, dopo neanche 3 ore di sonno, ricordandomi che ho cose da fare e poco tempo. Vado a bussare ad Alberto nella remota possibilità che sia già sveglio e voglia mangiare qualcosa e, sorprendentemente, lo trovo già pronto. Usciamo dall’albergo cercando un locale che cucini della carne e ci incamminiamo verso il parco, dove ci sediamo al Café Mockva, specializzato in spiedini di carne e birra ghiacciata. Ordiniamo 3 spiedini di vitello a testa e ci gustiamo la freschezza dell’ombra e la gentile brezza che soffia dalla fontana lì vicino.

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Il nostro hotel a Dushanbe

Dopo pranzo ritorniamo in albergo e Alberto torna a dormire mentre io, con un fattorino dell’hotel, vado a far riparare le gomme e pulire la macchina. C’è un piccolo momento di panico prima di partire quando non trovo le chiavi della macchina da nessuna parte ma poi vado a vedere se le ho lasciate nella serratura ed è proprio lì che le trovo, dimenticate dal nostro arrivo all’alba.

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Mentre aspetto che il lavoro venga completato regalo qualche spilla ai bambini del luogo quindi torno in albergo.

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Prima di cena c’è il momento culturale di Dushanbe che consiste nel visitare una rotonda enorme con all’interno due obelischi e un carro armato sovietico. Successivamente ceniamo al ristorante libano/siriano Al-Sham con kebab misto e milkshake quindi torniamo a dormire perché domani ci aspetta la famigerata autostrada M41 che attraversa il Pamir.

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Mercoledì 6 agosto ’14, da Samarcanda a Dushanbe – Mongol Rally 2014

Precisazione: questo post conterrà poche immagini a causa della lunghezza e difficoltà della tappa, ci scusiamo per l’inconveniente.

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Dopo una sveglia ai limiti dell’umano e la colazione, chiediamo ad Abdu, il gestore dell’ostello, quale sia il migliore confine per andare dall’Uzbekistan al Tajikistan. Come ci era stato detto da altri team, purtroppo quello diretto tra Samarcanda e Dushanbe è chiuso e le alternative sono due: passare da sud o da nord, in direzione Bekabad. Noi scegliamo di andare verso Bekabad poiché le strade dovrebbero essere migliori, anche se dopo il confine ci aspettano le montagne e la strada da percorrere supera i 600 chilometri.

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La vista di Samarcanda dall'ostello

Prima di lasciare Samarcanda dobbiamo cercare qualcuno che ci venda della benzina. Ci viene in soccorso Abdu che ci indica la zona in cui si concentra il mercato nero di carburante. Alberto, come suo solito, funge da navigatore. Bisogna sapere che per lui la strade migliore è sempre la più breve tra due punti e per calcolare il tragitto anche questa volta non cambia filosofia. Ci ritroviamo quindi in brevissimo tempo nella “favela” di Samarcanda. La strada è una latrina non asfaltata a cielo aperto, alla nostra destra vi sono case di fango diroccate e palesemente sovrautilizzate, alla nostra sinistra un salto di una decina di metri che finisce in una discarica e in un torrente. Intorno a noi decine di bambini divertiti e anziani che, seduti all’ombra di muretti, ci guardano con fare interrogativo. Noi proseguiamo a passo d’uomo rispondendo a ogni compiaciuto saluto e arriviamo, abbastanza a sorpresa, sulla strada principale a due corsie separate da un muretto. Si può girare solo a destra ma noi dobbiamo andare a sinistra. [Piccolo excursus: le regole della strada in Asia Centrale sono abbastanza elastiche: si può fare praticamente tutto, basta non intralciare i camion e i taxi che non si scanseranno per nessun motivo, per il resto basta avvisare le altre vetture con ripetute e ritmiche strombazzate di claxon. Nel caso però si venisse fermati dalla polizia bisogna ricordarsi che in questi paesi la giustizia è matematica: basta pagare e l’infrazione sparisce.]

Ci immettiamo quindi, svoltando a sinistra, nel traffico contromano e, suonando il claxon per avvisare le macchine della nostra presenza, avanziamo fino al primo incrocio dove possiamo entrare nella giusta carreggiata di marcia. Troviamo, come predetto, i venditori di benzina e facciamo il pieno quindi partiamo in direzione di Bekabad. A metà mattina veniamo fermati da un’auto della polizia che ci contesta una velocità di 85 km/h su di una strada con limite di 70 km/h. Per quanto scritto nell’excursus di cui sopra, con una mazzetta di 10 dollari l’infrazione scompare e siamo liberi di continuare il nostro viaggio.

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All’ora di pranzo, visto che la tappa è di notevole lunghezza, decidiamo di fermarci a pranzo in un locale per camionisti sul ciglio della strada. Mangiamo panzerotti di montone e cipolle e poi degli spiedini bevendo del tè. Proviamo anche a chiedere se possono spedire le nostre cartoline ma quando gliele mostro loro le osservano con attenzione, mi fanno i complimenti per le belle foto e mi mostrano delle loro foto del posto in cui vivono e di dove sono stati. A quanto pare in Uzbekistan le cartoline non sono comuni come in occidente.

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Ripartiamo e ci portiamo a una decina di chilometri dal confine dove ci fermiamo a un posto di blocco. Alle domande di rito rispondiamo che stiamo andando a Dushanbe e il poliziotto ci informa che il confine lì vicino è unicamente a uso dei pedoni e che quindi non avremmo potuto attraversarlo con la macchina. Ci dice però che il confine per le vetture è a una cinquantina di chilometri più a nord così è lì che ci dirigiamo trovandolo non senza qualche difficoltà. Siamo però l’unica macchina in coda quindi non dobbiamo aspettare praticamente nulla.

Dopo i timbri di rito sui passaporti, al controllo doganale decidono di ispezionarci tutta la macchina e i bagagli. Non ce l’aspettavamo e, vuotando tutto il carico dalla macchina, mi rendo conto che ho lasciato la mazzetta con tutte le valute per il viaggio nella tasca superiore della borsa fotografica. Potrebbe essere un problema giacché abbiamo dichiarato di non avere con noi contanti e non sappiamo cosa potrebbe comportare questa incongruenza. Il sergente inizia col controllare gli scatoloni del cibo, poi passa all’attrezzatura da campeggio e alla maschera da cavallo decide di fare uno scherzone alla guarnigione. Ne approfitto per mettere gli zaini sul tavolo di ispezione in modo che la tasca superiore di quello contenente l’attrezzatura fotografica sia poco visibile. Il militare torna e si mette ad aprire e a svuotare tutti gli zaini, io gli rimango sempre di fianco e gli spiego a cosa servono le strane cose che trova. Prima che possa avvicinarsi allo zaino in questione, mi faccio avanti e, con la scusa che l’attrezzatura è molto costosa, lo apro io e gli indico i vari obiettivi spiegando le loro caratteristiche tecniche e a cosa servono. Lui, visibilmente annoiato dalla mia nerdaggine fotografica, mi fa segno di richiuderlo e di ricaricare tutto in macchina senza ispezionare tutte le altre tasche.

Rimontata la macchina, ripartiamo e ci portiamo a ridosso del confine tajiko dove, prima ancora di varcare i gloriosi cancelli per uscire dalla terra di nessuno, ci fanno compilare una declaratia quindi ci fanno accedere alla frontiera. Il primo controllo dei passaporti è veloce e indolore, al secondo passo della procedura mi vendono un foglio bollato per 5 dollari di cui non ho mai capito la funzione, il terzo step è il controllo doganale. Dopo aver sbagliato l’ingresso ed esserci fatti urlare “demonio” in italiano da un camionista per l’errore commesso, pagando 25 dollari all’ufficiale incaricato (non abbiamo capito se sia un dazio ufficiale o una mazzetta) ci fanno passare senza alcun controllo e finalmente siamo in Tajikistan.

Il paese sembra da subito molto povero, in deciso contrasto con quanto visto fino a qui. Vi sono molti animali liberi per strada e le case sono tutte di mattoni di fango e consumate dal tempo. Seguiamo la strada per Dushanbe e arriviamo a una grande città dove decidiamo di fare benzina. È già notte e l’unico distributore che accetti le carte di credito è il gazprom dello stadio dove si sta disputando un incontro di lotta del campionato asiatico quindi tutta la zona è congestionata dal traffico. Riusciamo a raggiungerlo e a fare il pieno e ne approfitto per comprare una redbull, una jaguar (bevanda energetica che poi scopriamo avere il 7% di alcol), due panzerotti, una busta di patatine al granchio e una al montone. Ci rimettiamo in cammino mangiando quanto ho comprato ma i panzerotti devono essere subito buttati dal finestrino in quanto la carne di montone al loro interno ha il gusto dei detersivi e ci viene a entrambi da vomitare dopo ogni morso.

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Altra foto del locale di pranzo

Arriviamo finalmente alle pendici delle montagne che ci separano da Dushanbe verso le 11 di sera. Pago il casello più caro dell’Asia centrale (23 sum, quasi 5 euro) e iniziamo la salita ma, dopo una curva, prendo una buca di sbieco e distruggo una gomma e ammacco il cerchione. Provvediamo prontamente a sostituirla ma la ruota di scorta è sgonfia e il cerchione è deformato. La situazione è critica: siamo nel mezzo delle montagne tajike, sono quasi le 11 e mezza di notte, inizia a fare freddo, ci manca una ruota e siamo ancora lontanissimi dalla nostra destinazione. Faccio rimontare la gomma squarciata e decido di guidare fino a valle per cercare aiuto. Dopo circa un’oretta arriviamo al casello dove ci fanno ripagare, parcheggio in mezzo ai tir ed entro nel bar dei camionisti per cercare aiuto. Miracolosamente un afgano capisce quello che sto cercando di dire ed esce in nostro soccorso. Riesce, a martellate, a raddrizzare il cerchione deformato e, col compressore del suo camion, rigonfia la gomma quindi la rimontiamo e siamo pronti per ripartire.

Ripaghiamo il casello e iniziamo, per la seconda volta, la scalata delle montagne. Con tir che sfrecciano da tutte le parti e strade sterrate e pericolosamente esposte, superiamo un paio di colli fino a che troviamo una galleria: è a malapena a due corsie, non ci sono areazione né illuminazione, ma è asfaltata e la percorriamo in circa 20 minuti. La vallata successiva sembra possa condurci direttamente a destinazione senza altri patemi, ma ci sbagliamo. All’improvviso la strada sale con pendenze del 17% (dato comprovato dai cartelli a bordo strada) fino a uno spiazzo su cui si apre un buco rossiccio da cui esce una fitta coltre di fumo. È ciò che i locali chiamano “La Galleria Dell’Inferno”, ma questo ancora non lo sappiamo. Entriamo con la sicurezza dei principianti e all’improvviso siamo catapultati nel posto più pericoloso visto finora. Ecco alcuni dei problemi notati dal team:

  • la galleria ha un’unica corsia perché la seconda è in costruzione;
  • la seconda corsia è in costruzione in quel momento;
  • ci sono lavoratori lungo tutto il tunnel;
  • non c’è asfalto;
  • ci sono 15 cm di acqua per terra;
  • ci sono buche enormi;
  • ci sono quasi 50 gradi centigradi e un’umidità da sauna;
  • non c’è illuminazione;
  • non c’è areazione;
  • c’è un fumo che impedisce di vedere la fine del cofano;
  • ci sono tir che viaggiano nei due sensi di marcia e non frenano davanti a nulla;
  • ogni tanto ci sono blocchi di cemento non segnalati che impongono di cambiare corsia.

Impieghiamo, per uscire da questo incubo, circa 50 minuti ma poi la strada è tutta in discesa e arriviamo a Dushanbe per le 4:30 del mattino. Dobbiamo solo trovare l’albergo ma le mappe di google ci portano nel posto sbagliato. Proviamo a cercare un wifi aperto senza successo e a telefonare ma nessuno risponde. Finalmente verso le 6 di mattina riusciamo a entrare in contatto con l’hotel e ci facciamo venire a prendere. La giornata potrebbe finire qui ma la mia camera non è ancora pronta così faccio colazione e, distrutto, vado a dormire alle 8:30 di mattina. Però siamo arrivati in Tajikistan.

Martedì 5 agosto ’14, Samarcanda – Mongol Rally 2014

Ottieni i Percorsi

Dopo un’eccellente e abbondante colazione preparo l’attrezzatura fotografica (in quanto scarsamente utilizzabile nei giorni di viaggio, a causa della polvere e del fatto che devo guidare) e ci incamminiamo verso il centro della leggendaria città di Samarcanda.

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Ci dirigiamo per prima cosa verso il Registan, piazza simbolo dell’Asia Centriale su cui si affacciano tre maestose madrase terminate tra il 1420 e il 1660.

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Non riuscendo però a trovare l’ingresso alla piazza decidiamo di andare a visitare la sinagoga e prendiamo una stradina secondaria.

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Ci ritroviamo all’entrata del bazar principale di Samarcanda (il Siab Bazaar) e cogliamo l’occasione per visitarlo, fare qualche foto ed eventualmente comprare qualche ricordino. Vi viene venduto di tutto: spezie, verdure, pane, carne, frutta secca, utensili per la casa, piccola elettronica, cappelli buffi e tessuti, solo per citare le merci maggiormente presenti.

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All’uscita troviamo una comitiva di torinesi e approfittiamo della loro guida per farci indicare la direzione per la sinagoga che risulta essere dietro al nostro ostello. Nel tragitto per arrivarci ci fermiamo a pranzo e decidiamo di visitare prima la moschea di Biby-Khanym, una delle più grandi di sempre.
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IMG_2178 copia 2Compriamo poi delle cartoline e torniamo in ostello per il troppo calore. Nel tardo pomeriggio torniamo a visitare il Registan, di cui troviamo l’ingresso, e il bazar.

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Si è fatta ora di cena quindi mangiamo del plov in una casa del tè e poi del gelato rientrando in ostello. Non visitiamo la sinagoga.

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Lunedì 4 agosto ’14, da Nukus a Samarcanda – Mongol Rally 2014


Oggi è in programma un giorno di viaggio abbastanza impegnativo: dobbiamo andare da Nukus a Samarcanda per un viaggio di poco più di 800 km. Non ci sono frontiere ma le strade, la benzina e la tenuta della macchina sono un’incognita.

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Dopo aver fatto colazione e aver pagato l’albergo, aspettando Alberto, parlo con una videomaker che sta lavorando a un progetto per far conoscere l’Uzbekistan in Europa. Chiacchieriamo di attrezzatura fotografica fino all’arrivo del suo taxi. Alberto scende dalla camera, carica la macchina e partiamo.

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L'eroico receptionist di Nukus

Appena usciti da Nukus, buco uno stop di un posto di blocco della polizia, mi fanno accostare e cercano di darmi una multa. Intuisco che la multa consiste in una mazzetta quindi facendo finta di non capire nulla di quello che mi viene chiesto, riesco a ripartire senza tirare fuori un dollaro. Ci fermiamo quindi per fare benzina a un distributore ma è rimasto solo il gas. Arriva anche un’altra macchina del Mongol Rally, appartenente al team “5 camels and a cameleon”, che ci chiedono se possono seguirci alla ricerca di carburante. Circa un chilometro dopo mi fermo a un negozietto sul ciglio della strada per chiedere se vendessero benzina. Veniamo quindi indirizzati verso una traversa della strada principale dove ci attende un uomo disposto a venderci della benzina nella sua fattoria.

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Riempito il serbatoio ripartiamo in direzione Samarcanda, in quanto è quasi mezzogiorno e mancano ancora più di 550 km. La strada costeggia l’antica via della seta e, secondo Alberto, vi si possono scorgere ancora dei resti dell’antico cammino.

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Dopo una collinetta, a metà del rettilineo in discesa, troviamo un altro posto di blocco della polizia che decido, come è ormai mia abitudine, di passare senza fermarmi. Veniamo quindi fatti accostare e scorgiamo la macchina del team inglese “5 camels and a cameleon” che ha fatto il mio stesso errore. Ci dirigiamo quindi tutti verso il baracchino dei poliziotti dove ci vengono fatte le domande di rito: “da dove venite?”, “dove andate?”, “in Mongolia?”, “perché?” con l’aggiunta di “lo sapete che avete bucato uno stop?”. Ci fanno segno di seguirli all’interno della casetta e gli inglese vengono rilasciati subito. A me, dopo aver registrato il mio passaggio sul loro librone, viene ritirata la patente e mi viene chiesta una mazzetta. A questo punto non posso fare finta di non capire il russo o cosa sta succedendo; dovrò usare un’altra tattica. Mi tolgo quindi il cappellino, mi scrollo un po’ di polvere dai vestiti e mi siedo comodamente sul divanetto di fronte alla scrivania del poliziotto, lasciando intendere che ho più tempo che dollari e che sarei potuto rimanere tutto il tempo necessario. Il militare sembra sorpreso e divertito. Chiacchieriamo un po’ dell’Uzbekistan e dell’Italia; mi dice che apprezza molto Celentano (come tutti in Asia Centrale) e intoniamo le prime strofe de “Il ragazzo della via Gluck”. Siccome siamo ormai amiconi, mi rende la patente e mi scorta fino alla macchina, consigliandomi di fermarmi allo stop successivo.

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Lì in mezzo ci sono io che cerco di spiegare a gesti perché continui a non fermarmi agli stop della polizia

Guido senza ulteriori problemi per un centinaio di chilometri  e dopo l’ennesimo posto di blocco della polizia, incontriamo due ragazzi tedeschi che stanno girando questa parte del mondo a bordo di una enorme Mercedes classe G superaccessoriata e terribilmente adatta alla marcia nel deserto.

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Visto che siamo fermi decidiamo di comprare qualcosa da mangiare; nel negozietto lì vicino, il cui commesso ha la maglia di Bale, compriamo del pane nan e dei biscotti e quindi ci rimettiamo in viaggio.

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All’ultimo posto di blocco prima del calare del buio troviamo il personaggio del giorno. Dopo aver svolto le registrazioni di routine, vengo avvicinato da un rubicondo poliziotto che, col suo stentato inglese, si presenta e inizia a chiacchierare amabilmente con l’intero team. Dice di chiamarsi Arabobo e di apprezzare la musica italiana, in particolare Al Bano e Celentano.  È quasi buio quindi decidiamo di rimetterci in cammino ma, prima di poter rientrare in macchina, Arabobo ci dice che dobbiamo dargli 150 dollari. Noi ci guardiamo per un attimo e scoppiamo in una fragorosa risata. Alberto sale in macchina, io do una pacca sulla spalla al simpatico poliziotto, lo saluto, mi metto al posto di guida e sempre ridendo come se mi fosse appena stata raccontata la migliore barzelletta del mondo, riparto verso la nostra destinazione.

Arriviamo a Samarcanda che è già buio. Per arrivare al nostro ostello, situato nel quartiere ebraico, dobbiamo circumnavigare il muro eretto per evitare che i turisti escano dalla zona turistica e finiscano nelle zone più povere della città. Riusciamo tuttavia, dopo vari tentativi, ad arrivare a destinazione per le 23:00 e, dopo aver lasciato la macchina, veniamo accompagnati ai nostri appartamenti. Ceniamo con ramen all’uovo, chiacchieriamo con degli spagnoli che hanno partecipato al Mongol Rally nel 2012 e quindi andiamo a dormire.

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3 ago ’14, Nukus – Mongol Rally 2014

Inizio la giornata facendo colazione con gli americani del team “12 steppe program” al bar dell’albergo e decidiamo di portare le due macchine a revisionare e, eventualmente, a riparare. Il receptionist ci accompagna al distretto dei meccanici dove facciamo controllare e aggiustare la macchina spendendo una cifra inferiore ai dieci dollari. Ci dicono che il pezzo che si è staccato dalla macchina non sanno a cosa serva e ci consigliano quindi di tranciarlo di netto. Noi, con loro disappunto, decidiamo di tenerlo, così, per scaramanzia. Andiamo quindi al bazar di Nukus dove cerchiamo, senza fortuna, un ulteriore cerchione per la panda.

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Nel pomeriggio andiamo al museo di arte figurativa sovietica di Nukus che raccoglie, oltre a reperti archeologici di dubbia provenienza, anche opera d’arte di dubbio valore salvate dalla distruzione della nomenklatura sovietica. È da segnalare che il grosso della collezione è rappresentato da dipinti su cartone risalenti ai primi anni ’80; per citare Alberto: “Noi c’avevamo gli ABBA, loro facevano ‘ste croste; dimmi tu chi stava peggio.”

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Usciti dal museo, avendo fatto felice la mamma dando un parvenza di cultura al viaggio, ci dirigiamo verso il ristorante della sera prima per prenotare il piatto speciale della cuoca che richiede almeno tre ore di preparazione tra l’uccisione della bestia, il dissanguamento a gravità naturale e l’acquisto della salsa al supermercato. L’aver ordinato un piatto tipico cerimoniale uzbeko ci fa sentire come dei “fieri viaggiatori, non dei semplici turisti”, sensazione di superiorità che Alberto riverserà su ogni persona arrivata in aereo.

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Torniamo in albergo ad aspettare l’ora di cena. Alberto va in camera a schiacciare un pisolino mentre io rimango nella hall a riversare le foto sugli hard disk. Nel frattempo chiacchiero con alcuni degli ospiti della struttura, tra cui una signora inglese che lavora come archeologa per l’accademia russa e che sta studiando un vecchio tempio zoroastriano appena scoperto e scampato alle varie razzie cui l’Uzbekistan è stato vittima. Mi racconta anche delle atrocità perpetuate da Tamerlano ma che, negli scritti ufficiale, si è obbligati a parlarne solo bene in quanto è stato adottato dal regime come eroe unificatore nazionale.

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Finalmente ceniamo e il piatto non delude: è un bollito con della pasta e delle cipolle. Dopo cena andiamo subito a dormire perché domani ci attende una tappa impegnativa: da Nukus a Samarcanda, più di 800 km con l’incognita della benzina e della macchina.

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2 ago ’14, Nukus – Mongol Rally 2014

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Siamo a Nukus, prima grande città dell’Uzbekistan arrivando dal confine kazako. Qualificarla come prima è un po’ fuorviante in quanto dista più di 400 chilometri dalla frontiera con una strada tutt’altro che facile. Per farvi un’idea delle condizioni del manto che abbiamo incontrato, vi basti sapere che nei primi 5 chilometri abbiamo squarciato due gomme e distrutto un cerchione. A causa di questi inconvenienti abbiamo quindi montato la gomma che avevamo precedentemente tolto in Russia prima del confine kazako (e che ha una vita conficcata nel battistrada), ho alzato il piede dall’acceleratore, ci siamo rassegnati a guidare per molte ore al buio e abbiamo proseguito verso est alla volta della nostra destinazione prevista per la notte del 1° agosto. Siamo arrivati all’albergo verso le due di notte, col serbatoio completamente vuoto (in Uzbekistan ci sono solo macchine a gas, quindi non esistono distributori di benzina e bisogna fare affidamento esclusivamente al mercato nero) e distrutti dal viaggio e dalle 5 ore in frontiera.

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Ad ogni modo, è sabato 2 agosto, siamo a Nukus, c’è l’aria condizionata e possiamo dormire fino a tardi. Alle 08:30 suona il telefono della camera. Rispondo. È la reception che mi avvisa che stanno per terminare la colazione. Siccome appena sveglio non ho la capacita di prendere decisioni, ancora al buio, seguendo il mio olfatto, trovo i vestiti, mi vesto e scendo per fare colazione. Mi viene servita ogni sorta di prelibatezza del luogo: da bere tè, caffè e una specie di acqua di rose, poi un’omelette, degli affettati e del formaggio, un saccottino salato con carne di montone e cipolle, delle frittelle dolci, dei muffin, della giardiniera di verdure, dello yogurt, della frutta e delle barrette al cioccolato. Sorprendentemente riesco a finire tutto e verso le 09:30 esco davanti all’albergo per chiacchierare con il ragazzo della reception. Dal nulla vedo spuntare in strada la macchina del team “12 steppe program” di Angela, Dan e Alec, tre americani di Seattle incontrati la prima volta poco fuori Atyrau mentre venivano perquisiti dalla polizia e poi di nuovo alla frontiera tra Kazakistan e Uzbekistan. Riesco a fermarli e decidono di restare all’albergo per la notte in quanto anche loro sono a secco e devono riparare un problema al cambio.

La giornata viene programmata in base alle cose più urgenti da fare:

  1. fare benzina;
  2. riparare le gomme e i cerchioni e cercare un’altra ruota di scorta;
  3. controllo generale dell’automobile;
  4. varie ed eventuali.

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Chiediamo quindi aiuto al receptionist per recuperare della benzina, lui fa un paio di telefonate e poi ci dice che è tutto sistemato. Una mezz’oretta dopo ecco che arriva davanti all’albergo una vecchia Lada dorata con a bordo due persone che iniziano subito a scaricare bottiglie da 5 litri piene di benzina. Versiamo nel serbatoio i 25 litri che avevo prenotato ma mi rendo conto che avrei dovuto comprarne di più, in quanto fino a Samarcanda difficilmente riusciremo a trovare un distributore e mancano più di 800 chilometri. Dovrò fare tornare queste persone nei prossimi giorni. Il problema ora è che dobbiamo pagare la benzina in valuta locale. Bisogna sapere che è praticamente impossibile, per uno straniero, comprare i Cym nel mercato ufficiale; le banche, oltre a essere quasi sempre chiuse e a non avere disponibilità, applicano dei tassi di cambio molto svantaggiosi. Ovviamente il receptionist accorre in nostro aiuto e ci propone di cambiare i nostri dollari con il suo stipendio: scompare nel retro e torna con circa un metro di soldi. Con queste banconote possiamo pagare la benzina.

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A questo punto, dalla scalinata dell’albergo, come una principessa al suo esordio in società, scende Alberto, rinfrancato da una lunga dormita e propone di andare a pranzo. Chiediamo le indicazioni per un posto dove mangiare, ci incamminiamo nel sole cocente dell’una, ovviamente ci perdiamo e quindi entriamo nel primo (e unico) ristorante che troviamo.

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Proviamo a ordinare un misto con le specialità della casa ma dopo interminabili tentativi e incomprensioni, mi faccio dare il taccuino del cameriere e disegno una mucca. Lui annuisce e ammicca in segno di intesa e scompare. Ci vengono quindi servito il pane tradizionale e del tè. Dopo un po’ arrivano i nostri piatti: due polpette di carne alle spezie con riso e (penso) farro.

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Poi ordiniamo il dessert, scegliendo rigorosamente a caso quello col nome più lungo e due caffè. Finiamo quindi il pasto mangiando un piatto di girelle e bevendo due caffelatte di orzo.

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Il punto successivo della lista delle cose da fare è riparare le gomme. Seguendo le indicazioni del receptionist ci rechiamo al bazar dei meccanici, nel distretto dei meccanici. Appena scesi dall’auto veniamo circondati da bambine che ci chiedono dei soldi. Proviamo a spiegare che prima dobbiamo sbrigare delle commissioni e che poi avremmo potuto dare loro quello che ci sarebbe avanzato ma è tutto inutile fino a quando una di loro, tirando la manica ad Alberto, scopre il suo tatuaggio marinaresco, grida qualcosa terrorizzata e, con tutte le altre, si dilegua. Nel frattempo si era radunata una discreta folla di curiosi a cui chiediamo informazioni per le gomme. Cerchiamo di spiegare che dobbiamo cambiare tre gomme (balùn), raddrizzare due cerchi (cerk) e comprare una gomma e un cerchio in più. Qualcuno ci fa segno di salire in macchina e di seguirlo e ci porta da un gommista lì vicino. Il padrone dell’officina prontamente capisce quello di cui abbiamo bisogno e mette al lavoro il giovane.

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In circa un’oretta i cerchioni sono stati riparati a martellate, una gomma sostituita e quella con la vite riparata. Durante tutto il tempo, a fronte di una quindicina di persone asserragliate intorno alla macchina a fumare e a farci domande, solo il ragazzo di bottega era indaffarato a lavorare. Dopo aver pagato un conto corrispondete a una decina di dollari, guido la macchina attraverso la strada e dentro l’officina del cambiatore di olio che provvede alla sostituzione dello stesso e alla pulitura del filtro. Finiti queste operazioni sono circa le sei di sera e ci dirigiamo verso il meccanico che dovrebbe dare una controllata generale alla macchina. Superiamo, come da indicazioni, il cavalcavia, al rondò giriamo a destra e dopo la ferrovia ci immettiamo in una stradina a sinistra. Troviamo, con nostro stupore, il posto ma ci dicono che il meccanico è già andato via e di ritornare l’indomani mattina alle nove, no, anzi, alle dieci, facendoci capire a gesti la sete che contraddistingue il suddetto meccanico. Torniamo quindi in albergo e ci prepariamo per andare a cena decidendo di rimandare all’indomani il controllo generale dell’automobile.

Riusciamo a localizzare il ristorante segnalatoci in albergo prima di pranzo e ci troviamo i tre americani del team “12 steppe program” che erano tornati dalla loro gita al Lago di Aral. Ci uniamo al loro tavolo e ceniamo gradevolmente chiacchierando del più e del meno. Dopo un paio di birre torniamo in albergo e andiamo a dormire.

Una cosa divertente che avevo promesso di non fare mai più

A oltre dieci giorni dalla partenza da Aosta, sono obbligato a prendere in mano una situazione ormai degenerata e vergognosa e a fare qualcosa che mi ero ripromesso, per il bene mio e del mio prossimo, di non fare mai più. Nonostante la mia totale incapacità nel creare contenuti scritti interessanti (né tantomeno semplicemente leggibili) mi vedo costretto a scrivere gli aggiornamenti giornalieri dal Mongol Rally. Ogni volta la strada e il programma me lo permetteranno, aggiornerò questo blog con le novità capitateci durante la nostra avventura. Se la sorte mi assiste, entro questa sera pubblicherò il primo aggiornamento giornaliero e piano piano cercherò di ricordarmi, scrivere e postare quanto avvenuto finora, dando però la precedenza alle novità più recenti.

Prima bucatura